Premio
Internazionale Letterario e d’Arte “ Nuovi Occhi sull…Mugello” .
Menzione d’onore
Motivazione
della giuria:
Ripartire non è mai semplice e spesso la diversità
spaventa,poiché arriva e sconvolge. Ma la richezza più grande sta nella
scoperta e nel unire le tradizioni che sono alla fine atti d’amore verso se stessie verso gli
altri. Solo “ ricamando “ con la fantasia, la volontà di perseverare e il
rispetto, possono essere i pilastri per costruzioni durature. l’identità non è
racchiusa né in portafoglio, né in un documento e nemmeno in quattro mura. Ciò
rende inconfondibile un essere umano parte dal cuore e dalle sue azioni.
Mondo Barberino. Mugello. It
Venivo a Barberino di Mugello per comprare una porzione di colonica
che avevo visto in un annuncio su Internet.
Prima di decidere, però, a compiere un passo così importante, volevo conoscere
i dintorni. Il giorno seguente, quindi, salivo a spaziare sulle colline
solitarie, battute dal sole. Il rivedere gli alberi, sentire il fresco delle mulattiere,
era per me come una scampagnata nei luoghi fiabeschi, dai colori primaverili.
Avevo solo un mese
per sbrigare tutte le formalità connesse all’acquisto della casa. Il
trasloco si svolse nell’anno 1986. Pressata
dai mobili e dalle casse contenenti la mia precedente esistenza, abbracciavo
strettamente un vaso con un piccolo abete, albero di Natale, l’ultimo ricordo
del mio passato.
Vado spesso a trovarlo durante le mie passeggiate.
Interrato sulla riva del fiume, conta spietatamente i miei anni.
Non mi aveva svegliato di primo
mattino, il rumore della città, ma
il cinguettio degli uccelli e l’insistente canto del gallo. Mi accinsi a fare
un giro. Dietro il casale, un viottolo sorvegliato dalle querce ombrose,
conduceva diritto al fiume. Un ponticello di legno attraversava le acque
spumose e portava ai campi e macchie appena verdi. Un incanto! Al ritorno, spalancai
le finestre per il caldo. Si sentivano
le voci, ma non capivo una parola. Che lingua era? Una vicina, piccola e opaca,
vedendomi affaccendata davanti alla casa si avvicinò porgendomi un fumante
piatto di rossa pastasciutta. Parlava un dialetto incomprensibile. La
ringraziai in un corretto italiano, con la speranza di essere capita.
Non dimenticai
mai quel meraviglioso gesto di umanità.
Barberino si estende a valle
circondato di colli e da sempre scruta gelosamente i suoi piccoli orti abusivi
attaccati al fiume. Tutto mi sembrava misero in quei tempi. Il centro del paese
era un insieme di case strette attorno ad una piazza, con i vecchi privi di sorriso. Nei lunghi pomeriggi, le vetrine,
scolorite e tristi, rispecchiavano le facce insignificanti seguite
dagli occhi vuoti. Mi pareva di
aver intuito l’oscuro rancore di questo posto e lo vedevo come un rozzo
borghetto, sigillato nella solitudine e nell’isolamento. Nel paese si
pavoneggiava il trenta per cento dei Barberinesi, gli altri erano disprezzati e
non graditi “terroni”.
Eppure alcune Mugellane
estremamente faziose, si ribellarono prontamente alla disdegnosa affermazione contro i loro
mariti : “ Vengono qui con valigie piene di pidocchi a rubare il lavoro!”.
La finestra del mio salotto dava su
un largo cortile, che faceva da ingresso per alcuni alloggi. Provavo quasi
vergogna per la gente che era in grado di vivere in tale trasandatezza. Non bastava l’alta erbaccia negli angoli,
sudicio per terra e crollanti baracche, coperte di pezzi di lamiera
corrosa. Dopo la pioggia chi passava era
costretto a saltare tra fango e pozzanghere, le carrozzine dei bambini si
portavano di peso. In quella corte risiedevano Siciliani, Calabresi o Laurenzanesi.
Alcuni erano addirittura imparentati tra loro. Niente, però, proibiva loro di bisticciare
senza tregua, per ragioni probabilmente poco chiare anche a loro stessi.
La mia presenza
incuriosiva tutto il vicinato. Non rientravo nello standard. Il mio atteggiamento, ben lontano dai costumi
del luogo, sconvolgeva tanto i Barberinesi, quanto i meridionali. La
Polonia? Di là tutti sono morti di fame…
Il fatto che avessi acquistato la casa, e che cercassi manodopera per
ristrutturarla, mi rendeva ai loro occhi degna di rivolgermi la parola. A
Barberino basta poco per essere presi di mira. Ero diversa, uscivo da un
modello preconfezionato, quindi… Che cosa di strano c’era poi in me? Forse,
perché alle otto in punto non scuotevo i tappetini fuori dalla finestra e in
ora di pranzo, andavo a fare due passi?
O forse, perché
non avevo il “san marito” e dei figli meravigliosi. Mi veniva da urlare! Durante
queste passeggiate “fuori orario”, incontravo spesso uno strano individuo a
vagare su una bicicletta scassata. Con la voce rauca e confusa sbraitava: “Bucaiolo,
merdaiolo, se ti piglio ti attacco le budella al collo”. Sogghignavo
malignamente con tutto il paese, mentre echeggiavano dappertutto le paure del
matto. Eppure poco dopo smisi di ridere. M’incuriosì quell’uomo così
visibilmente sofferente. Vestiva con abiti sgualciti e impolverati, peraltro
emanava cattivo odore. Curvo, con aria sottomessa, sembrava un animale
braccato. I suoi occhi rivelavano la timidezza e sfuggiva con lo sguardo quando
incontrava il mio. Un pomeriggio m’imbattei in lui, vicino al fiume, sdraiato
sotto il mio abete. Questa volta, invece di fuggire, decisi di affrontare le
mie paure. Il petto mi scoppiava per il cuore impaurito. Invece non successe niente, mentre passavo di
fronte a lui. Lo vidi felice, inondato da quel sole autunnale che suscitava
tanta gioia anche in me. Con le mani sotto la testa e le gambe accavallate,
pareva uno spensierato ramingo, a borbottare alle acque il mondo tutto suo. Lo
fermai, in un giorno gelido e piovoso. Passava davanti casa mia e imprecava,
come al solito. Gli posai nel cestino della sua bici una coperta di lana, in
seguito gli regalai i caldi maglioni o qualche barattolo di marmellata fatta da
me. Non lo sentivo più bestemmiare, almeno non in mia presenza.
Mi sarebbe
piaciuto scoprire qualcosa della sua vita, ma temevo che il mio curiosare
potesse turbare la sua quiete. Mi limitavo di “vegliare” su di lui, nel caso
avesse bisogno.
La mia simbiosi con quest’ambiente
così diverso dal mio, cresceva ogni giorno di più. Col passare degli anni, mi
sentivo in perfetta armonia con tutto l’habitat che mi circondava.
Quell’angolo del
Mugello, ormai, fa parte di me , e …“mi perdo
nel suo splendore che solo canto avrà da me”.
Mi
tornano in mente i primi mesi, quando mi aggiravo tra sacchi di cemento,
barattoli di tinte e attrezzi, sparsi per le stanze. Nella tremolante luce di
una candela, la casa sembrava un ventre squarciato. Col passare del tempo, l’abitazione diventava sempre più
bella, si trasformava e assumeva una certa identità.
Oggi, la
mia amata dimora è ricamata dalla mia fantasia. Tanti delicati aghi hanno
tessuto la mia felicità, tanti crudeli spilli l’hanno punta. Amo sempre andare
in giro, fermandomi qua e là a contemplare i miei monti, dei quali riconosco ogni
increspatura. Le stradine sono sempre le stesse, al contrario dei pioppi curvi,
che sembrano stanchi di salire su per le
colline. I volti della gente incontrata sono impercettibili, ormai, dopo tutto
questo tempo passato. Il vialetto con le querce forcute e spoglie per gli anni, mi conduce di nuovo al fiume. Mi siedo al bordo del mio
amato ponticino e guardo l’abete, alto e robusto, che da piccolo fungeva da
albero di Natale. Sembra quasi di sentire il suono eterno di quel mondo
immobile che mi circonda…e resto a lungo in quegli attimi, sospesi nel tempo.
P.S. Google
Vendesi una porzione di colonica. Mugello. It
Daniela Karewicz